Sante Caserio

Sante Geronimo Caserio nacque da una famiglia contadina l’8 settembre 1873. Ebbe numerosi fratelli e il padre morì in un manicomio. Non volendo pesare sulla madre, a cui era molto affezionato, all’età di dieci anni scappò di casa per trasferirsi a Milano. Qui trovò lavoro come garzone di un fornaio. Venne in contatto con gli ambienti anarchici della fine del XIX secolo, fondò anche un piccolo circolo anarchico denominato “A Pè” (“A Piedi”), nel senso di senza soldi). Pietro Gori lo ricordava come un compagno molto generoso; raccontava di averlo visto, davanti alla Camera del Lavoro, dispensare ai disoccupati pane e opuscoli anarchici stampati con il suo misero stipendio. Venne identificato e schedato durante una manifestazione di piazza, e fu costretto a fuggire prima in Svizzera e poi in Francia.
Il 24 giugno uccise il presidente Carnot durante un’apparizione pubblica a Lione colpendolo al cuore con un coltello dal manico rosso e nero (i colori che simboleggiano l’anarchismo). Dopo l’atto non tentò la fuga, ma corse attorno alla carrozza del moribondo gridando «Viva l’anarchia». Fu processato il 2 e 3 agosto e fu giustiziato il 16 dello stesso mese tramite ghigliottina.
Di fronte al tribunale che lo condannò alla ghigliottina tra le altre cose disse:
«Dunque, se i governi impiegano contro di noi i fucili, le catene, le prigioni, dobbiamo noi anarchici, che difendiamo la nostra vita, restare rinchiusi in casa nostra? No. Al contrario noi rispondiamo ai governi con la dinamite, la bomba, lo stile, il pugnale. In una parola, dobbiamo fare il nostro possibile per distruggere la borghesia e i governi. Voi che siete i rappresentanti della società borghese, se volete la mia testa, prendetela».
Al processo, infatti, non tentò mai di negare il proprio gesto, nè di chiedere la pietà del giudice. Gli fu offerta la possibilità di ottenere l’infermità mentale e in cambio avrebbe dovuto fare i nomi di alcuni compagni, ma Caserio rifiutò sprezzatamente: «Caserio fa il fornaio, non la spia». In cella, mentre attendeva la condanna a morte, gli fu anche mandato il parroco di Motta Visconti per l’estrema unzione, ma egli rifiutò di confessarsi e cacciò il prete. Sul patibolo, infine, un attimo prima di morire gridò rivolto alla folla: «Forza, compagni! Viva l’anarchia!».
Dopo la condanna di Sante Caserio vi furono diversi atti di violenza e intolleranza da parte dei francesi contro i lavoratori italiani, compatrioti dell’assassino del loro presidente. Un anarchico fu arrestato per aver gridato la propria simpatia verso Caserio in un locale pubblico e un carcerato venne percosso violentemente per lo stesso motivo. Il gesto dell’anarchico italiano aveva risvegliato qualcosa nel cuore dei ribelli oppressi di Francia.
Sulla figura di Caserio si è in seguito sviluppata una tradizione popolare di canti e di memoria collettiva che dura ai giorni nostri. Numerose sono le canzoni a lui dedicate, in parte tramandate oralmente. Esempi sono Le ultime ore e la decapitazione di Caserio di Pietro Cini (nota anche come Aria di Caserio), Partito da Milano senza un soldo di autore anonimo, La ballata di Sante Caserio di Pietro Gori e Il processo di Sante Caserio.

Buenaventura Duruti
Nestor Ivanovic Makhno